C’è una scena nel nuovo Cobra Kai (no spoiler!) che ci ha ricordato molto Rocky IV e le sue “vibes” da guerra fredda anni ’80
Hai mai notato come film e serie TV trasformino le tensioni internazionali in storie accattivanti? È un processo quasi naturale: prendono temi complessi, come le rivalità geopolitiche, e li reinterpretano in modo più semplice, più “digeribile”. Forse è per questo che l’ultima stagione di Cobra Kai ci dà tutte queste vibes da Rocky IV.
Dai film di spionaggio con nemici sovietici agli atleti sovrumani in competizioni sportive, la narrativa pop ha sempre avuto un occhio per il conflitto tra nazioni. Oggi, con tensioni globali in aumento, questa tendenza si ripresenta, ma in forme nuove. Perfino in prodotti pensati per i giovani, oltre che per 40enni nostalgici, come Cobra Kai.
Hollywood ha sempre avuto un talento nel trasformare la geopolitica in intrattenimento. Durante la Guerra Fredda, i cattivi russi erano praticamente ovunque: in film d’azione, sportivi e thriller. Non c’era bisogno di spiegare chi fossero, bastava il contesto. Dopo il crollo del muro di Berlino, sembrava che queste storie fossero superate, ma eventi come l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina hanno riacceso vecchie rivalità, anche nella cultura pop.
Questa dinamica si vede chiaramente nelle produzioni recenti. Serie come Stranger Things – ambientate però in quegli anni complicati – evocano immagini di laboratori segreti sovietici, mentre i film d’azione non perdono occasione per tirare fuori spie russe o minacce orientali. Ma il colpo di scena? Anche i teen drama stanno iniziando a sfruttare questa narrativa.
Se non hai ancora visto le ultime stagioni di Cobra Kai, attenzione agli spoiler! Anche se cercheremo di dire il meno possibile. La serie, nota per trasformare rivalità adolescenziali in vere e proprie guerre di karate, ha deciso di alzare la posta. Da semplici dispute tra dojo rivali, le dinamiche si ampliano fino a coinvolgere nuovi villain con chiari richiami geopolitici.
Tra i nuovi antagonisti, troviamo un dojo russo guidato da un sensei spietato, pronto a tutto pur di vincere. Non solo: i suoi metodi includono il doping, un chiaro riferimento agli scandali che hanno coinvolto la Russia nello sport negli ultimi anni.
Il momento più significativo arriva durante un torneo di karate internazionale. Qui, il sensei russo cerca di manipolare gli eventi, alimentando una tensione che culmina in una vera e propria rissa. Ma è l’organizzatore del torneo a mettere fine alla situazione, stendendo il sensei con una frase che sembra uscita direttamente dagli anni ’80: “Dasvidania, russo bastardo”. Un chiaro richiamo alla narrativa hollywoodiana della Guerra Fredda, che mescola ironia e conflitto in un modo volutamente esagerato.
C’è qualcosa di affascinante nella semplicità di questa formula: un nemico chiaro, ben definito, che richiama rivalità storiche diventate nuovamente e brutalmente attuali. Per molti spettatori più giovani, queste dinamiche sembrano nuove, quasi esotiche. Per chi invece ha vissuto i tempi della Guerra Fredda, rappresentano un ritorno nostalgico a un immaginario “familiare”, per quanto inquietanti.
Certo, è facile vedere queste storie come semplici espedienti narrativi. Ma c’è anche il rischio di rafforzare visioni semplicistiche del mondo. Quando si riduce un intero popolo a un nemico sleale o aggressivo, si rischia di alimentare pregiudizi e divisioni. È qui che il confine tra cultura pop e realtà diventa delicato. Ma in questo, va detto, gli americani sono sempre stati molto poco “delicati”.
Nonostante ciò, prodotti come Cobra Kai non hanno la pretesa di offrire un’analisi geopolitica approfondita. Il loro scopo è intrattenere, giocando con temi e immagini che risuonano nel pubblico. E se questo significa ripescare vecchi cliché per renderli attuali, allora la serie ha centrato l’obiettivo.
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