Il documentario Netflix dedicato al caso dell’omicidio di Yara Gambirasio ha fatto parecchio discutere. Ma come si è riusciti ad intervistare Massimo Bossetti?
Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio è uscito nel mese di luglio sulla piattaforma di streaming Netflix, attirando fin da subito l’attenzione del pubblico e dei media. Il documentario ripercorre i fatti che hanno segnato una delle vicende di cronaca nera che hanno scosso maggiormente l’Italia, dando voce anche all’uomo dichiarato colpevole dell’omicidio della 13enne: Massimo Bossetti.
Era il 2010 quando Yara Gambirasio è scomparsa misteriosamente. Per la precisione, la giovane di Brembate di Sopra (in provincia di Bergamo) è sparita il 26 novembre nel tardo pomeriggio dopo essersi recata presso il centro sportivo del paese. Il suo corpo è stato ritrovato privo di vita solamente il 26 febbraio 2011.
Ad essere indiziato, almeno in un primo momento, è stato l’operaio Mohammed Fikri. L’uomo, tuttavia, in seguito alle indagini è stato riconosciuto come estraneo ai fatti. A distanza di qualche tempo, nel 2014 è giunto l’annuncio dell’arresto di Massimo Bossetti, che all’epoca aveva 44 anni. La prova che ha determinato la condanna del muratore è stata fornita dal DNA trovato sui leggins e sugli slip di Yara.
Oggi Massimo Bossetti sta scontando la sua pena in carcere a Milano: accusato di aver ucciso la giovane Yara dopo un tentativo di violenza sessuale, l’uomo è stato condannato all’ergastolo e passerà il resto della sua vita dietro le sbarre. Ciò non lo ha mai fermato dal dichiarare la sua innocenza, come accaduto nel documentario di Netflix.
Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio ha riportato in auge la drammatica vicenda, riprendendo testimonianze e materiali ancora inediti. Nel documentario si alternano le interviste a chi ha vissuto il caso in prima persona, a partire da Bossetti e dalla moglie Marita Comi – anch’essa fermamente convinta che l’uomo sia innocente.
Ma in che modo è stato possibile interpellare il principale indiziato della vicenda? Come affermato in precedenza, Massimo Bossetti è attualmente in prigione condannato all’ergastolo. Eppure, ha potuto prendere parte al documentario raccontando la sua versione dei fatti. La legge italiana infatti prevede che gli ergastolani possano rilasciare interviste, previa autorizzazione delle autorità competenti.
È necessario che le comunicazioni dei detenuti siano sottoposte a controlli volti a garantire la sicurezza all’interno delle carceri. Prima di procedere con un colloquio con i media, quindi, la testata giornalistica in questione (o lo stesso detenuto) hanno il dovere di presentare un’apposita richiesta al direttore dell’istituto penitenziario in cui si trova il carcerato.
Massimo Bossetti, per la realizzazione del documentario, ha ottenuto dunque un permesso da parte delle autorità dell’istituto in cui sta scontando la sua pena. Il pubblico ha potuto sentire le sue parole grazie alle registrazioni audio fatte in carcere: così l’uomo ha avuto l’occasione di dire la sua.
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